Il Palazzo della Dogana, ubicato in Piazza Amendola, era la piazza per eccellenza dell’Avellino di un tempo: quel «tutt’uno inscindibile» – come lo definisce Armando Montefusco nel fondamentale Monografie per la Storia di Avellino, Biblioteca del Corriere, 2011, pp. 86-88 – composto dalla Torre dell’Orologio, dall’obelisco a Carlo II d’Asburgo e, per l’appunto, dal palazzo della Dogana. Da secoli «cuore pulsante di tutte le attività commerciali», grazie alla posizione strategica sulla strada da cui passava il grano proveniente dalla Puglia verso Napoli, era inevitabilmente anche il centro della vita civile: «Qui confluivano – scrive ancora Montefusco – tutte le principali vie di comunicazione: la via beneventana, la via pubblica salernitana, la via Campania, la circumvallazione alla cittadella. La sua centralità viene eloquentemente espressa anche dal suo antico toponimo di “piazza Pubblica”» (p. 86).
La peste del 1656 provò duramente la città, causando anche la decadenza della piazza Pubblica. Fu Francesco Marino Caracciolo, quarto principe di Avellino, a volerne il restauro. Con la lungimiranza dell’uomo d’arte e di cultura, il Caracciolo colse l’occasione per trasformare la piazza – che fino ad allora aveva avuto l’aspetto di un comune mercato – in un progetto urbanistico di grande respiro. La scelta ricadde sul grande scultore e architetto Cosimo Fanzago che, nel 1668, completò anche l’obelisco a Carlo II d’Asburgo, consegnando alla città la caratteristica statua del “reuccio”. Una statua che – come scrive Barbara Matetich – rappresenta «il re fanciullo» in modo realistico, nella «sua vera età di sette anni, con l’abbigliamento sfarzoso che il suo titolo richiedeva». Senza che la «sontuosità delle vesti» riesca però «a nascondere le guance paffute e lo sguardo sorridente del bambino». Probabilmente è stato proprio l’aspetto più umano e fanciullesco a decretare l’amore del popolo avellinese per il re d’abbrunzo.
L’impegno principale del Fanzago fu però il rifacimento del palazzo della Dogana. Fu così che, da spoglio edificio dalla funzione meramente fiscale, il palazzo acquisì nuova veste fino a diventare un’opera d’arte. Suddivisa in due piani, la nuova facciata monumentale si arricchì nel piano inferiore dei suoi caratteristici cinque archi e di due statue, Diana ed un Efebo; in quello superiore di quattro busti, Augusto, Adriano, Pericle, Antonino, e altre due statue raffiguranti Venere e Marino II Caracciolo. Negli «angoli inferiori», scrive ancora Montefusco, «vi sono infine due leoni accovacciati che sorreggono con le zampe anteriori ciascuno uno stemma».
Un’opera d’arte giunta ad oggi attraversando infinite peripezie, dal terremoto del 1732 a quello del 1980, passando per la Seconda Guerra Mondiale. Ristrutturata nel 1929 per ospitare il “Cinema Umberto”, la Dogana ha conosciuto una nuova decadenza in seguito all’incendio del 17 novembre 1992 che ha lasciato in piedi solo la facciata.
Da allora molti progetti di recupero sono stati tentati.
Sull'iscrizione riporta nel riquadro al centro della facciata, si legge:
"VETUSTATE PENE COLLAPSAM
HANC CERERIS ARCEM
NE GRASSANTE LUE
GRASSARETUR ET FAMES
ELEGANTIUS INSTAURAVIT
FRANCISCUS MARINUS CARACCIOLUS".
Palazzo della Dogana
Antica Dogana, Piazza Amendola, 83100 Avellino
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