A San Michele di Serino, nelle giornate del 23 e del 24 giugno, si terrà la tradizionale "Festa della Tammorra", organizzata dalla Pro Loco "Sabe Maioris".

Un percorso itinerante tra artisti di strada e tammurriate spontanee in Piazza Municipio, accompagnato dalla degustazione di prodotti tipici locali.

Tra gli ospiti: A Lumanerai Tarantellati di Volturara e La Voce della tradizione Biagio De Prisco.

"Le origini della tammorriata si perdono nella notte dei tempi; essa è senza dubbio una delle più sensuali e seducenti forme di ballo ed affonda le sue origini nelle antiche danze greche e, probabilmente, nelle antiche danze delle genti campane, come i sanniti - scrive la Pro Loco. Per nostra fortuna e nonostante i secoli trascorsi la tammorriata ha mantenuto i tratti fondamentali delle antiche danze, continuando a rappresentare i riti della sessualità e della fertilità connessi alla terra intesa come madre di ogni cosa e, quindi, fonte della vita". 

Le origini

Nel mondo greco, la danza veniva considerata dono degli dei agli uomini e mezzo per questi di accostarsi alla divinità fino ad identificarsi con essa, unico modo per raggiungere, almeno idealmente, l'immortalità. Il dono del movimento del corpo era quasi sempre una vera e propria pantomima che rappresentava miti e celebrazioni di figure divine e mitologiche. In quel tempo i danzatori ellenici si muovevano con gesti corporei strettamente collegati alla voce ed alla musica per il raggiungimento dell'ebbrezza terrena. Con la nascita del teatro greco, a partire dal V secolo avanti Cristo, queste danze furono schematizziate affinché entrassero a far parte delle sue rappresentazioni. Alcune di queste antiche danze, appartenenti o no al teatro, presentavano gesti caratteristici che si ripropongono nella figurazione tematica dell'odierno ballo su tammorra; questi sono testimoniati da citazione letterarie, dipinti, raffigurazioni su vasi,da un'infinità di sculture e bassorilievi disseminati in vari musei del mondo.

Quelli riproposti nell'odierna danza campana sono soprattutto due: il primo è la cheironomia,cioè la posizione assunta dalle mani nel corso del ballo, molto importante poiché attraverso di essa si esplicitano particolari sentimenti ed emozioni; il secondo gesto e il saltare di tipo demoniaco che agita tutto il corpo. Entrambi questi movimenti erano eseguiti dai satiri,adoratori del culto di Dioniso e Cibele. La danza dei satiri descritta, probabile antenata della nostra tammorriata, si chiama sìkinnis, e si ballava nel naos, il tempio divino.

Continuando la storia delle antichissime origini del nostro ballo, possiamo ancor osservare che le danze bacchiche sostituirono, più tardi, in Grecia la sìkinnis. Queste nuove danze,sempre in onore del dio Dioniso,erano costituite dalla elevazione ritmica delle braccia, da piccoli passi e dall'agitazione di tutto il corpo. Tutti questi movimenti servivano alle baccanti ed alle sacerdotesse del dio per giungere a furore erotico.

La danza delle baccanti o menadi, cioè delle donne seguaci di Dioniso, era detta turbé,una danza fortemente oscena eseguita di solito durante i riti auspicanti fecondità. Nella schematizzazione della danza dionisiaca confluì anche la gestualità della pirrica greca, anch'essa presente, seppure travisata, anche in alcuni tipi di tammorriata. Le danze pirriche erano di carattere giocoso, ma anche guerresco e venivano eseguite da un'amazzone armata di lancia e di un piccolo scudo ed anche da un sileno che le protendeva la tipica pelle di daino , propria dei cultori di Dioniso. Nello stesso tempo, però, i satiri parodiavano mimicamente la mancanza di coraggio dei cultori della vita agreste ed in alcuni casi sembrano danzare in preda alla più accesa paura:cadono in ginocchio e stendono un braccio come se tentassero di allontanare un oggetto abominevole, oppure, sempre in ginocchio, poggiano la mando destra in terra e la sinistra sulla testa. Una splendida decorazione pittorica su di un vaso conservato nel museo archeologico nazionale di Napoli raffigura due satiri che attorniano, danzando, un kelebe colmo di vino, inginocchiandosi e volteggiando con le gambe sino ad arrivare ad incastrarle. Tutte queste movenze satiriche sono riscontrabili in atteggiamenti coreutici della tammurriata campana.

Un'altra danza rituale greca, eseguita dai giovani durante la vendemmia e caratterizzata anch'essa da un'azione mimica, è detta epilenios; il suo movimento gioioso ed estatico, cadenzato dal ritmo della cetra e dal suono delicato delle tibie, si può rilevare in alcune movenze tammorrare. Con questa ritualità mimetica sono rappresentate tutte le azioni svolte dai vignaioli durante il periodo della vendemmia. Tra le danze allegre appartenenti al genere teatrale, bisogna ricordare soprattutto la kordax; quest'ultima appartiene al genere della commedia greca di tipo orgiastico ed è caratterizzata da movimenti eccitanti, in particolare dal movimento turpe dei fianchi.

Altro importante elemento di questo tipo di danze rituali è il luogo dove si svolgono. Per i popoli antichi era lo spazio antistante il tempio del dio, oggi, in una ideale continuità con il paganesimo, il sagrato o la piazza antistante la chiesa della madonna o del santo.

Il Ballo

La tammurriata è una danza a coppia, ed esprime rappresentazioni rituali che non riguardano mai il quotidiano, quanto, piuttosto, tutto ciò che il quotidiano nega e reprime. Non deve, quindi, essere associata alla tradizionale danza d'amore, cosa che invece può rappresentare la tarantella. Il ballo r' 'e campagnole, ossia il ballo dei contadini, è costituito da una gestualità ritualizzata che, nel momento collettivo, assume un significato simbolico e magico. I suoi gesti possono essere spontanei, derivati da gesti che si effettuano durante il lavoro quotidiano nei campi o in casa, come setacciare la farina o spezzare i maccheroni, oppure imitazioni degli atteggiamenti degli animali come il volo degli uccelli e le gestualità tipiche dei gallinacei.

Quando la musica comincia a scandire il suo tempo, tra i potenziali ballatori, attraverso un gioco di sguardi avviene la ricerca del partner, poi l'incontro tra i due ed, infine, la formazione della coppia di ballerini. Nella prima fase del ballo sembra che i due danzatori cerchino la giusta intesa tra loro ed assaporino bene il ritmo della tammorra, sul quale poggia anche il canto, e ballando, cominciano anche a saggiare il loro rapporto con lo spazio. In questo momento di ricerca i due esprimono la loro volontà psicologica di possedere un proprio spazio entro cui agire protetti sia dalla barriera che si è venuta a creare tra la coppia sia da quella formata dagli astanti i quali, a loro volta, sono sempre dei potenziali partecipanti alla danza stessa visto che potrebbero intervenire in ogni istante. Durante l'esecuzione della tammurriata, infatti, non esistono attori e spettatori, non vi sono barriere tra i partecipanti alla festa, né esistono palcoscenici, ma si formano spontaneamente dei cerchi con tutti i presenti all'interno nei quali si fondono, in un tutt'uno, suonatori, cantatori e spettatori.

Il cerchio simboleggia la volontà umana di sfuggire il tempo canonico, si tenta, attraverso di esso, di fermarlo almeno per quel momento di festa donato alla divinità. Il duro vivere quotidiano viene così dimenticato ed esorcizzato. Il cerchio formato dagli spettatori serve a potenziare le energie umane dei partecipanti alla tammurriata; nel suo interno la danza si svolge regolarmente sempre sulla ritmica dello schioccare delle castagnette, tenute in mano un po' da tutti tra gli sguardi fissi e reciproci dei ballatori. In alcuni momenti di spontaneo eccitamento, però, la frase musicale che segue la scansione ritmica dei versi del cantatore, tende a stringere gli accenti; in questo momento uno dei due danzatori comincia ad assumere un ruolo aggressivo di evidente atteggiamento amoroso o di sfida , assecondato o scacciato dall'altro. Quest'ultimo può allora indietreggiare, perché incalzato dal compagno o dalla compagna, oppure decidere di accettare il corteggiamento o il duello.

Questa fase del ballo è la più coinvolgente e frenetica ed è chiamata rotella o vutata. La vutata è dunque il simbolo della sfida o dell'accoppiamento, ma può risultare da parte della donna un rifiuto dell'uomo che la sta corteggiando; la coppia, allora, si può spezzare ed in questo momento può entrare, per formare una nuova coppia, un altro personaggio, come nuovo potenziale corteggiatore. In questa fase si modificano anche la ritmica e la parte cantata, infatti la tammorra batte in uno, il cantate canta su una nota sola molto prolungata, o aggiunge dei versi più brevi per seguire i due danzatori che girano su loro stessi quasi incatenati. In questo momento della vutata si assiste alla totale liberazione ad allo sblocco di tutte le tensioni muscolari. Nella girata l'andamento della danza, nella maggior parte dei casi, è antiorario.

Non c'è limite di tempo alla danza se non quello di sfinire, raggiungere, con la perdita della coscienza, l'acme che dischiude nuovi orizzonti prima sconosciuti. Il ballo non è soltanto frenesia, e neanche semplice stato di ebbrezza, ma è puro invasamento divino. Non esiste scuola per imparare questo ballo, ma solo iniziazione; quando si è ragazzi si comincia a ballare con gli anziani ed allora bisogna solo seguire i passi senza prendere l'iniziativa. Seguire lo sguardo di colui che guida è importantissimo, soltanto guardandosi sempre negli occhi si può entrare perfettamente in sintonia.

La tammorriata descritta sino ad ora ha delle caratteristiche ben precise, ma vi sono delle differenze a secondo dei luoghi dove si balla; vicino al mare ed in pianura , ad esempio, la danza è stata sempre considerata un avvicinamento sensuale ed amoroso, mentre tra le montagne la necessità di conquistare le vallate le hanno conferito delle caratteristiche più dure e scattanti, quasi guerresche. La tammorriata scafatese è sicuramente certamente la più ballata ed il suo fine è essenzialmente di natura sensuale; la paganese è più saltellante rispetto alla prima; i ballerini presentano minori momenti di attaccamento e la stessa vutata mantiene i ballerini distaccati. In questo tipo di tammorriata che si può osservare a Pagani e nei paesi limitrofi, il corteggiamento sembra lasciare il posto ad una sfida tra i ballatori .Un terzo tipo di tammorriata è la giuglianese; la sua caratteristica principale è costituita dalla presenza del doppio flauto,del tamburello e dello scacciapensieri; il ritmo, (il sisco) inoltre, è più veloce, quasi ossessivo.

L'ultimo modo di ballare che prendiamo in considerazione è quello dell'avvocata, in onore della Madonna dell'Avvocata. La sua caratteristica fondamentale è nella presenza di un numero elevato di tammorre suonate contemporaneamente che può arrivare sino a dieci. C'è una tammorra principale che guida il tempo e, insieme alla voce, dà il numero dei colpi della vutata secondo il testo delle barzellette intonate. Qui la musica e i movimenti sono veri e propri richiami guerreschi, incitamento agli uomini nei momenti di combattimento.

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San Michele di Serino

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