Scheda redatta dal Polo Didattico e Scientifico del Museo Civico e della Ceramica

Si parte da alcune credenze popolari come:

Chiunque fosse il defunto, per quel giorno non ci si doveva pettinare, perché una volta morti si rischiava di far germinare sul proprio viso tanti pidocchi (ad Ariano Irpino gli uomini di venerdì non si radevano, altrimenti da morti sarebbero stati infestati dai pidocchi).

- Per concludere un’agonia troppo lunga si faceva in modo che il moribondo toccasse la terra con i piedi (S’ adda saluta’ cu la terra) oppure si faceva girare un gatto per 3 volte attorno al suo letto (ad Ariano i moribondi vogliono appunto “salutare la Terra” quando, sentendo di essere arrivati alla fine, cercano di scendere dal letto).

Perche i “Cicci cruri e i cicci cuotti”?

Tra i cibi particolari offerti ai defunti in passato prevalevano le fave, poi diventate per lo più dolci fatti a forma di fava. Presso gli antichi Romani, offrire legumi era un modo per esorcizzare la morte, infatti le leguminose erano sacre ai defunti perché le anime ne abitano i baccelli. I Romani durante i funerali buttavano dietro di sé manciate di fave; il primo giugno offrivano fave a Carna, dea dei morti; nei tre giorni delle feste Lemurie spargevano a mezzanotte e per 9 volte fave nere davanti alla porta di casa al fine di tener lontani gli spiriti dei defunti che erano stati malvagi in vita.

Il 2 novembre non si seminano mai fave e legumi, altrimenti nasceranno le neche, piante parassite nocive al raccolto; però si può seminare il grano.

In Irpinia (come in molti altri luoghi) è diffusa l’usanza di scavare e intagliare una zucca, quasi a forma di teschio, all’interno della quale si accende una candela. È messa fuori delle case durante la notte del 31 ottobre.

 

La Messa dei Morti dal …Vivo

Tratto da Ara Jani n. 12 del novembre-dicembre 1993

Articolo di Luigi De Padua

“La protagonista di questo straordinario fatto lavorava alle dipendenze di un fornaio, svolgendo mansioni che la obbligavano a levarsi di letto col cielo ancora stellato. Il suo compito consisteva di “cummannare”, comandare, o avvisare i vicinali (i clienti pi o meno vicini del panicuòcolo) di panificare.  In una rigida notte novembrina, mentre passava nei pressi dell’antica Chiesa del Calvario, le giunse il suono di un organo che inalava una musica mai udita, riempita – come lei riferì – “da un coro di Cherubini”. Correva il due novembre.

 

Spianata Calvario

 

L’antica chiesa del Calvario. La seconda foto fa vedere l’esterno dove sul lato destro vi era il cimitero.

La poveretta, convinta che si stava officiando un rito particolare dovuto alla ricorrenza (le sfuggiva però l’ora insolita: oltre le due di mezzanotte) e verosimilmente colpita da quella melodia di indefinibile soavità, pensò di entrere in Chiesa, almeno per una breve preghiera alla Madonna del Dolore e ai Defunti. Liberatasi  quindi delle tavole – al tempo usate per trasportare la pasta ammassata o i pani già cotti – e del cercine – la ciambella di stoffa che le donne del “volgo” ponevano sul capo per meglio reggere o ammorbidire il carico – finalmente varcò il cancello, poi la bussola e andò a sedersi tra gli altri!.

                  La chiesa del Calvario ricostruita dopo il sisma del 1932
                  La chiesa del Calvario ricostruita dopo il sisma del 1932

 

Nel frattempo il canto delle voci bianche era cessato: all’interno del sacro edificio regnava un silenzio sepolcrale. Benchè iniziasse subito a pregare col fervore della gente umile, tuttavia non potè non rivolgere uno sguardo attorno per scorgere qualcuno da salutare. Notò una comare molto anziana, sua lontana parente, e un ex vicino di casa più carico di anni, per i quali spese un lieve cenno senza riuscire per qualche attimo a distogliere gli occhi da essi.

A questo punto si sentì invasa da una strana sensazione e istintivamente ripassò sgomenta lo sguardo sulla muta assemblea che ora, quasi fluttuante, si scolpiva nella luce fioca e tremolante dei ceri. S’avvide ben presto che molti dei Componenti erano vecchi amici o conoscenti, mentre non aveva mai visto gli Altri. Poi … poi ricordò quei volti e il respiro le si mozzò in gola. Mio Dio!. Quelle persone a lei note erano tutte morte da più tempo e ovviamente – si disse – anche il resto dei presenti. Al culmine dello spavento vedeva materializzarsi quelle che avrebbero dovuto essere creature invisibili. Esterrefatta si chiese se stava sognando i momenti di un incubo terrificante o vivendo una realtà non meno raccapricciante. Quando di lì a poco, in un baleno, la realtà fu più limpida nella luce dei ricordi, emise un grido che si stemperò sul nascere: stava ascoltando la Messa dei Morti dal ….  Vivo! Fu qui che una voce remota le disse  “ questa nun eja la messa toja”. (sic).

Repentinamente abbandonò lo scanno e veloce come una freccia si accinse a guadagnare l’uscita attraversando la bussola sempre pi in preda al terrore. Ma nel superare il cancello del sagrato – che in quel momento mani ombre chiudevano silenziosamente – le si impigliò la frangia dello scialle che tuttavia riuscì a strappare con forza mai avuta. E tremante madida di freddo sudore, fece sentire i suoi passi frettolosi nella notte fonda.

Quando finalmente raggiunse il forno di via S. Stefano, la sua mente sfiorava la follia, mentre un tremito incessante e convulso le impediva la parola. Poi, letteralmente paralizzata, svenne senza aver pronunciato una parola. Dell’incontro con i “Fu di Ieri” riferirà due – tre giorni dopo con rinnovate emozioni. Questo eccezionale episodio che si diffuse rapidamente in paese dovrebbe risalire al 1918: da allora per tutti gli anni’40 tenne tabellone.  Dai vivi si dipartì qualche settimana dopo l’agghiacciante avventura, per crisi cardiaca. Il suo cuore non aveva resistito all’impatto con i Trapassati.

Un prodigio analogo, verificatosi qualche lustro dopo, lo vivranno un amico di Luigi De Padua)e l'omonimo, quest’ultimo spentosi da più anni. Mentre i due rincasavano all’una inotrata di mezzanotte, avendo ascoltato un comizio e i successivi commenti, d’un tratto percepirono chiaramente un coro di creature celesti, frammisto ad una musica espressamente sublime, che usciva da un organo. Proveniva dalla Chiesa di Sant’Agostino, a pochi metri da essi. Un’ora inconsueta per una funzione religiosa tanto più che, contrariamente al precedente episodio del Calvario, il calendario non datava alcuna ricorrenza importante. Profondamente turbati, zio e nipote, affrettarono il passo.

Questo evento arianese è presente nella cultura contadina dell’Irpinia e più vicino a noi anche in Baronia.

Si ringraziano per la collaborazione:

Comune di Ariano Irpino, Assessorato alla cultura

Maria Carmela Molinario, Sistema Irpinia - Distretto 23 - Ariano Irpino 

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