I dolci rilievi della Valle del Calore, in Irpinia, racchiudono il borgo di Gesualdo, che custodisce nella pietra e nell’aria il ricordo di un musicista rinascimentale, enigmatico e geniale: Carlo Gesualdo, principe di Venosa.
La storia si intreccia alla musica e alle note del suo tormento che risuonano tra le mura del castello che domina l’abitato.
Il Castello di Gesualdo, imponente e suggestivo, affonda le sue origini in epoca longobarda. Le prime testimonianze documentate risalgono tuttavia al XII secolo, durante il dominio normanno, quando il primo signore del feudo fu Guglielmo d’Altavilla. Con il passare dei secoli, l’edificio subì ampliamenti e trasformazioni, fino a diventare, nel Cinquecento, la dimora prediletta del principe madrigalista Carlo Gesualdo, discendente della nobile casata.
Fu in questo luogo sospeso tra cielo e terra che Carlo Gesualdo visse gli anni più intensi e dolorosi della sua vita. Dopo l’omicidio della moglie Maria d’Avalos, avvenuto a Napoli nel 1590, il principe si ritirò nel castello natio, cercando nella musica e nell’arte una forma di espiazione. In questo periodo commissionò numerosi interventi architettonici e urbanistici, trasformando il borgo e il maniero in un raffinato centro culturale.
Dopo un soggiorno a Ferrara con la seconda moglie Leonora d’Este, nel 1596 tornò definitivamente a Gesualdo, segnando l’inizio dell’ultima e più tormentata fase della sua esistenza. Malato, irascibile e ossessionato dai propri sensi di colpa, il principe si dedicò febbrilmente alla composizione musicale. Nel 1609 fece realizzare da Giovanni Balducci la pala d’altare di Santa Maria delle Grazie, dove egli stesso è raffigurato in atto di devozione accanto a Leonora. Due anni dopo, fece trasferire nel castello lo stampatore Giovanni Giacomo Carlino di Napoli, per curare personalmente l’edizione del Quinto e del Sesto Libro dei Madrigali e dei Responsoria per la Settimana Santa, autentici capolavori della musica sacra e profana.
Il 20 agosto 1613 la morte dell’amato figlio Emanuele segnò il colpo di grazia alla fragile salute del principe. Carlo, ormai consunto dal dolore e dalla malattia, si rinchiuse in isolamento nel piccolo camerino accanto alla cosiddetta “stanza del zembalo”, dove si dice conservasse un clavicembalo oggi attribuito a Vito Trasuntino. Vi morì diciotto giorni dopo, lasciando al mondo una delle eredità musicali più originali e sconvolgenti di ogni tempo.
I suoi Madrigali, raccolti in sei libri, rappresentano l’apice della polifonia rinascimentale. In essi coesistono amore, dolore e morte in un intreccio di contrasti estremi.
Le armonie ardite, i silenzi improvvisi, le dissonanze laceranti, l’erotismo e il misticismo della musica di Carlo Gesualdo rappresentano lo specchio dell’anima dell’artista.
Nei Responsoria per la Settimana Santa, l’espressione raggiunge una dimensione mistica e visionaria: la sofferenza del Cristo diventa riflesso del tormento personale del compositore.
Oggi, chi visita Gesualdo può ancora percepire quel sottile legame tra musica e storia. Il castello, restaurato e aperto al pubblico, accoglie mostre, concerti e iniziative culturali dedicate al suo illustre signore.
Le vie del borgo accompagnano il visitatore in un viaggio nel tempo, dove ogni pietra pronuncia i suoni del madrigalista e della sua vita lacerata.